Come nasce il concetto di fattori protettivi
Nasce nel contesto di un ambito di ricerca che si occupa dello studio
dello sviluppo e del funzionamento dell'individuo sul piano
psico-sociale , e nasce dal fallimento dei modelli interpretativi
utilizzati inizialmente, presi a prestito dalla medicina, basati su un
rapporto lineare causa-effetto; per cui ad un dato sintomo - o insieme
di sintomi - corrisponde una determinata malattia.
Cercando di fare delle previsioni sull'andamento futuro di soggetti con
gravi carenze e privazioni socio-ambientali ed economiche, considerati
ad alto rischio di sviluppare disturbi o disadattamenti di vario tipo,
si è potuto vedere come, di fatto, la percentuale più alta di persone
riusciva ad evolvere relativamente bene nonostante le condizioni
sfavorevoli e a dispetto delle previsioni più negative.
Si è cominciato a vedere, proprio in queste persone inspiegabilmente
"sane", una nuova frontiera di ricerca. Si è cominciato a pensare che
forse, per aiutare le persone a crescere bene, possa essere più utile
capire come hanno fatto, che cosa è intervenuto in quegli individui che
riescono dove altri falliscono.
Una prospettiva diversa
Ciò implica cambiare la prospettiva e porsi in un'ottica centrata non sulle carenze, le mancanze, i limiti, quello che non funziona, ma focalizzarsi sugli aspetti positivi, i punti di forza, le risorse e partire da quello che c'è di positivo, valorizzandolo.
Processi o meccanismi e non fattori di protezione
L'evoluzione degli studi sui fattori di protezione -così come i fattori di rischio- ha portato a non prendere in esame singoli fattori di per sé, isolatamente, ma a considerare la protezione come un "processo", in una interazione costante individuo-ambiente, che porta l'individuo ad autoproteggersi e a trovare le risorse e le strategie per affrontare attivamente le difficoltà che incontra nel corso della vita.
Resilience
Tale capacità è stata definita resilience, indica la capacità di far fronte agli eventi, di sapersi adattare anche in situazioni difficili e di recuperare dopo momenti di crisi. E' una competenza che si acquisisce e che va mantenuta, continuamente alimentata.
Elementi fondamentali
Fattori protettivi fondamentali, alla base della acquisizione di tale
competenza sono: innanzitutto, un "attaccamento sicuro" , cioè l'avere
avuto una buone relazione, nell'infanzia, con la mamma o persona che si
è presa cura, tale da costituire una "base sicura" come punto di
partenza per affrontare la vita; buone relazioni anche in età successive
con figure significative; poter contare su forme di sostegno sociale.
Sono caratteristiche comuni alle persone " resilient": l'autostima, il
senso di efficacia personale, la fiducia in se stessi, il senso di
potere esercitare un controllo su quanto accade, il riuscire a
pianificare le scelte della propria vita, il perseguire degli obiettivi.
La scuola come fattore protettivo
Numerosi lavori di ricerca dimostrano che la scuola è un importante
fattore di protezione e che può avere effetti positivi sulla vita delle
persone. Tali effetti possono variare da persona a persona, ma anche a
seconda della scuola frequentata.
Scuole dello stesso tipo possono avere effetti diversi sugli studenti -
essere più o meno "efficaci"- a seconda delle proprie caratteristiche e
dell'organizzazione interna della scuola come "sistema sociale".
Rispetto alla "efficacia delle scuole" rimandiamo alla letteratura .
In breve si può dire che la scuola può promuovere resilience andando a
favorire lo sviluppo del senso di competenza personale, l'autostima, il
senso di appartenenza, la fiducia in se stessi e negli altri, il senso
di utilità, la cooperazione. Quindi la scuola come ambiente, come
contesto per creare fiducia, ma anche ambiente che dà fiducia,
sicurezza, affidabilità.
Due parole chiave: fiducia e sicurezza
Estrapoliamo da quanto la letteratura illustra con studi e ricerche
accurati e attendibili due parole chiave per impostare il nostro
discorso, che sono: fiducia e sicurezza
Come si costruisce la fiducia?
A questo proposito citiamo alcuni autori che a nostro avviso hanno
affrontato l'argomento in modo particolarmente significativo e utile
alla nostra riflessione.
Riportiamo alcuni stralci tratti da scritti di Winnicott, un importante
pediatra e psicoanalista inglese che ha lavorato molto insieme ai
genitori e agli educatori:
"A che cosa tende la nostra azione educativa? Noi ci impegniamo affinché
il bambino conquisti gradualmente un senso di sicurezza. Deve formarsi
nell'intimo di ogni bambino piccolo, una fede in qualcosa; non solo in
qualcosa che sia buono, ma in qualcosa che su cui possa contare e che
resista, oppure che, se offeso o lasciato perire, risorga. Il problema
è: come prende forma questo senso di sicurezza? Che cosa porta a quel
particolare stato di soddisfazione grazie al quale il bambino ha fiducia
nelle persone che gli stanno intorno e nelle cose?
[…]Con la nostra presenza, con l'essere autenticamente noi stessi, noi
procuriamo una stabilità che non è rigida, ma viva e umana: ciò fa sì
che il bambino si senta sicuro. E' di questo che egli ha bisogno per
potersi sviluppare….
[…] In condizioni di buona salute, col tempo, i bambini diventano capaci
di conservare il loro senso di sicurezza anche di fronte a oggettive
situazioni di insicurezza.
[…] I figli sentono il bisogno di continuare a verificare se possono
ancora fare affidamento sui loro genitori, e ciò può durare sino a
quando essi stessi avranno messo al mondo figli propri, a talvolta anche
dopo. E', invece, un tratto caratteristico proprio degli adolescenti
mettere alla prova tutte le misure di sicurezza e tutte le norme, le
regole e le discipline.
[…] Possiedono un senso di sicurezza che viene costantemente rafforzato
dalle prove che essi compiono sui genitori e sulla famiglia, sugli
insegnanti, sugli amici e su qualsiasi persona essi incontrino.
[…] I ragazzi sani hanno bisogno di qualcuno che li disciplini, ma le
regole devono essere imposte da persone che essi possano amare e odiare,
che possano sfidare e ubbidire; i controlli meccanici non servono e la
condiscendenza ottenuta con la paura non ha valore. E' pur sempre il
vivo rapporto tra persone che offre lo spazio necessario per un
effettivo sviluppo. A poco a poco, col tempo, questo sviluppo porta il
bambino o l'adolescente ad acquisire un senso adulto di responsabilità;
responsabilità che mira soprattutto a predisporre le condizioni di
sicurezza per le generazioni future.
[...]La crescita non è soltanto una questione di tendenze ereditarie, è
anche una questione di un intrecciarsi altamente complesso con
l'ambiente che facilita (capace progressivamente di adattarsi ai bisogni
dell'individuo). Se la famiglia è ancora lì per essere usata, essa viene
usata in grande misura; e se la famiglia non è più lì per essere usata o
per essere messa da parte (uso negativo), allora piccole unità sociali
devono essere provvedute per contenere il processo di crescita
adolescenziale.
[...]l'individuo nel corso della crescita emotiva va dalla dipendenza
all'indipendenza e in condizioni di salute mantiene la capacità di
passare avanti e indietro dall'una all'altra… al momento di allontanarsi
dalla famiglia, quando l'individuo fa breccia in tutto quanto c'è
intorno a lui, a dargli sicurezza, il viaggio è proficuo solo se c'è un
biglietto di andata e ritorno".
Secondo la teoria dell'attaccamento il senso di sicurezza si costruisce
presto, ha le sue basi nella prima infanzia, nel primo rapporto del
bambino con la madre o la figura che si prende cura di lui. La
possibilità di stabilire un attaccamento "sicuro" crea una "fiducia di
base" indispensabile come punto di partenza per tutte le relazioni
sociali in quanto l'individuo si costruisce dentro di sé una immagine,
una rappresentazione o modello interno delle relazioni che forma una
sorta di matrice e guida le sue scelte ei suoi comportamenti futuri
nella relazione con gli altri.
Tali "rappresentazioni" o "modelli interni" hanno comunque una
"plasticità" in quanto possono essere modificati o sostituiti nel corso
del tempo.
In adolescenza svolge un ruolo centrale, influenza il funzionamento
adattivo psicosociale, la soddisfazione personale, il benessere
psicologico, la competenza nelle relazioni sociali e affettive,
l'apertura alla esplorazione, la capacità di memorizzare e di
mentalizzare, di fronteggiare situazioni nuove, i processi di pensiero,
la capacità di riflettere sulle esperienze mentali e sulle emozioni
proprie e degli altri, di costruire significati, di mettersi nei panni
dell'altro.
La capacità di relazionarsi e l'autonomia costituiscono due poli
importanti nel processo di crescita adolescenziale. Nel graduale
processo di acquisizione della autonomia da parte dell'adolescente i
genitori rappresentano sempre una "base sicura", il ragazzo deve poter
"esplorare" la possibilità di vivere indipendentemente dalle figure di
riferimento sapendo di poter sempre contare su di loro. I genitori e la
famiglia devono essere capaci di favorire e supportare emotivamente e
affettivamente il cambiamento evolutivo e i tentativi del ragazzo di
raggiungere maggiore autonomia, favorire la costruzione di legami
alternativi.
La costruzione della identità e la conquista dell'autonomia non
implicano soltanto un processo di separazione-individuazione, ma anche
un forte bisogno di appartenenza.
I genitori possono interpretare erroneamente o non comprendere, o non
accettare i tentativi del ragazzo di separarsi e di rendersi autonomo,
possono sentirsi attaccati o minacciati o perdere la fiducia nelle
proprie capacità genitoriali.
Anche i genitori devono rivedere il rapporto col figlio e le
rappresentazioni che hanno di se stessi e di se stessi rispetto ai
figli.
Il cambiamento che il ragazzo vive richiede una riorganizzazione di
tutti i rapporti famigliari e il ritrovare un nuovo equilibrio che
riguarda tutto il sistema familiare.
Maria Luisa Busolin, psicoterapeuta e gruppo-analista, al congresso
internazionale di gruppoanalisi tenutosi a Bologna nell'agosto 2002 ,
riportando un suo lavoro nell'istituzione scolastica ha detto:
" In un contesto potenzialmente ricco di risorse come l'Istituzione
scolastica, è ipotizzabile che la stessa possa presentarsi come
"comunità di apprendimento" e che gli adulti, già presenti come docenti,
divengano un vero e proprio riferimento per i ragazzi e per se stessi.
… Spesso la famiglia non riesce a svolgere un ruolo di contenimento, di
continuità e di risposta "adulta" alle molteplici sollecitazioni e alle
manipolazioni mass-mediatiche cui sono sottoposti i ragazzi La scuola
può subentrare come punto di riferimento, in cui l'adulto insegnante,
pur ponendosi come contenitore, può accogliere le manifestazioni dei
diversi bisogni e contemporaneamente educare i ragazzi verso una
maturazione, aiutandoli a sviluppare la capacità di mediare. La scuola
dunque, intermediaria di valori etici e morali, può trasmettere agli
adolescenti, particolarmente recettivi all'ascolto vista l'età, il
valore fondamentale di essere individui sociali. L'istituzione
scolastica come alternativa capace di contenimento e di elaborazione"
Vorremmo prendere spunto proprio da queste riflessioni nella nostra
proposta di lavoro.
La linea che si desidera seguire con il progetto "benessere a scuola" è
di cercare di fare sì che la scuola possa effettivamente diventare un
agente di protezione per il futuro dell'individuo e che il ragazzo possa
trovare, all'interno della scuola, figure adulte che si affiancano ai
genitori nel processo di crescita e che diventino "altri" significativi
in cui potere avere fiducia e su cui costruire la fiducia in se stessi.
Il fattore protettivo consiste nel fatto che gli adulti non deleghino
gli uni agli altri le responsabilità, ma che ci sia una reciprocità, un
contenimento attraverso un lavoro di crescita comune, di impegno e di
responsabilità. Per questo è importante che si crei un clima nella
scuola, una collaborazione fra gli insegnanti e fra genitori e
insegnanti tale da rinforzare la fiducia e la credibilità nei ragazzi.
ARGOMENTI
TRATTATI DURANTE L'INCONTRO DEL 13 NOVEMBRE 2002
( a cura della Dott.ssa Rita Semprini - relatrice)